Padova viene da sempre riconosciuta come “la città del Santo senza nome, del prato senza erba, del caffè senza porte”.
Questi tre elementi identificano tre luoghi simbolo della città: la Basilica di sant’Antonio, il Prato della Valle e Caffè Pedrocchi.
Il santo senza nome, che è Sant’Antonio, patrono della città e chiamato in questo nome perché quando i padovani dicono: «andiamo al Santo» indicano senza ombra di dubbio la famosissima Basilica di Sant’Antonio.
Si tratta senza dubbio del monumento più famoso di tutta Padova, meta continua di turisti che ogni giorno lo affollano per chiedere una grazia al Santo originario di Lisbona, la cui festa cade il 13 giugno, giorno in cui in tutta Padova si snoda una processione di fedeli, lungo tutte le vie della città, seguitissima da fedeli provenienti da ogni dove.
La Basilica sorge a due passi da Prato della Valle, il “prato senz’erba”.
È la piazza più grande d’Italia e una delle più grandi d’Europa, con i suoi 88620m² di superficie. Viene chiamato così perché in passato, a causa delle presenza di troppi alberi, vi era carenza di manto erboso. Oggi invece non è più così, visto che è sopravvissuto solo uno degli alberi (un acero) che vi erano originariamente. Purtroppo però anche l’acero è ormai morto e dovrà essere presto tagliato, il che è un grande peccato, perchè il Prato della Valle completamente alberato è una visuale fantastica, sia d’estate in cui le fronde verdi degli alberi offrono un riparo dalla calura, sia d’autunno, quando gli alberi si tingono di giallo e sono meravigliosi.
Il “caffè senza porte” è invece Caffè Pedrocchi, famoso perché un tempo rimaneva sempre aperto, consentendo a tutti di prendere posto nelle sue sale e discutere di arte, politica, letteratura (l’Università sorge a pochi metri) sorseggiando un buon caffè.
La nostra storia ci porta però a parlare di Sant’Antonio, e di uno dei suoi innumerevoli miracoli. È una storia davvero poco nota: nemmeno i monaci che operano in basilica ne hanno mai sentito parlare, e io l’ho scovata da un libro che lessi parecchi anni fa: La valle più bella del mondo del compianto Ezio Franceschini.
La riporto perché è una storia affascinante e merita di essere conosciuta.
Era l’anno 1683. L’Europa era in subbuglio, con Vienna assediata dai Turchi, e con tutte le implicazioni che questo comportava, ma a Padova tutto era tranquillo: il Bacchiglione scorreva lento e placido addentrandosi nella città, sotto i ponti e lambendo le case, l’Università era piena di famosi maestri, si studiava e s’imparava… “Padovani gran dottori”, non a caso si dice. La vita comunale procedeva tranquilla e quella religiosa anche, con il suo fulcro rappresentato dalle cupole rotonde della basilica del Santo che sorvegliavano la piazza piena di pellegrini. La gente, come fa tuttora, veniva a pregare e a chiedere numerose grazie presso la tomba di sant’Antonio, da secoli venerato come il “santo dei miracoli”.
Chi era Sant’Antonio? Sant’Antonio era nato a Lisbona, ma in Italia aveva conosciuto san Francesco d’Assisi e, dopo aver preso il saio del Poverello d’Assisi, si era stabilito nella vivace comunità francescana di Padova, e qui aveva vissuto per molto tempo, fino alla morte, avvenuta il 13 giugno 1231, all’Arcella (dove adesso sorge un’altra chiesa a lui dedicata). I padovani, a due passi da Prato della Valle, avevano eretto una maestosa basilica, dove avevano collocato le sue spoglie mortali, e dove tutti i giorni migliaia di pellegrini si recano in venerazione, specialmente nel mese di giugno, quando ricorre la sua festa. Ai primi di giugno del 1683, la piazza, come di consueto, brulicava di gente. Dal Prato della Valle ecco sopraggiungere un carro addobbato, diretto alla Basilica: splendidi cavalli neri e lucidi lo tiravano, servi lo scortavano. Portava due magnifici ceri. Erano grossi e lucidi, alti più di tre metri, larghi e dritti come tronchi d’albero, e la cosa più sorprendente era la decorazione: completamente ricoperti di scene di caccia e di guerra in rilievo dorato. Erano così bianchi e lucenti da sembrare d’avorio, materiale preziosissimo a quel tempo come allora. Avorio ricoperto d’oro. Splendidi. Una cosa meravigliosa, mai vista a Padova.
La gente che affollava il piazzale della Basilica faceva ala al carro che, giunto davanti alla porta centrale della Basilica, qui si fermò. Tutti i frati accorsero nel piazzale, richiamati dal brusio della gente e dalle voci che parlavano di un “forestiero” giunto a venerare il santo, portando ricchi doni. Un signore vestito di nero, col petto pieno di medaglie d’oro, che aveva viaggiato su un cavallo nero che si trovava subito dietro il carro, scese dalla sua cavalcatura e si avvicinò al padre priore, mostrandogli il ricco dono che aveva portato con sè, e ordinò ai servitori di calare i due ceri, devoto omaggio al Santo. I due grandissimi ceri così furono calati giù dal carro e posti davanti alla porta principale della Basilica, cosicchè tutta la folla li ammirasse.
Poi i due pesantissimi ceri furono portati all’interno della Basilica con la preghiera, espressa dal donatore, che venissero accesi durante la Messa solenne del giorno 13. Il priore ovviamente accettò. I ceri vennero posti subito davanti all’Arca del Santo, e la gente di ammirava, stupita da tanta maestosità.
Venne il 13 giugno, festa di Sant’Antonio. La Basilica, come sempre avviene in queste occasioni, era straripante di pellegrini, ammassati in ogni dove, perfino arrampicati sul basamento delle alte colonne della Basilica. Tutti volevano esserci, tutti volevano venerare il Santo di Padova.
E venne il momento della solenne celebrazione liturgica delle ore 11, presieduta dal Vescovo in persona. Era Federico II Corner, veneziano, un uomo un po’ altezzoso, cardinale, della nobile e potente famiglia veneziana dei Cornaro. Aveva spesso avuto a che fare con ricchezze simili, ma anche lui era rimasto meravigliato dalla bellezza di quei ceri. Si diede così inizio alla Messa solenne, fra canti, preghiere e incenso profumato. Qualche svenimento tra la folla, come di consueto, molta emozione, e i due bellissimi ceri, posti ai lati dell’Arca del Santo, a far da solenne scenografia alla celebrazione. E al momento sacro dell’Elevazione si fece un profondo silenzio: mentre il Vescovo era chino e pronunciava le parole della consacrazione del pane, si udì una voce che diceva forte:
«SPEGNETE I CERI».
Tutti rimasero in silenzio, sorpresi a un po’ spaventati, non sapendo da dove provenisse quella voce stentorea e, dato anche il momento sacro, nessuno si mosse. Ma, alla consacrazione del vino, la voce ripeté, questa volta quasi urlando:
«SPEGNETE I CERI!».
Allora i due ceri furono finalmente spenti. Una volta terminata la Messa, i due ceri vennero portati in sacrestia. Fu grattata via la superficie istoriata, e fu così che si trovarono due involucri di metallo, pieni di polvere da sparo.
Si trattava insomma di due grosse bombe, con i lucignoli come miccia, e che, scoppiando, avrebbero provocato una strage vista la folla che riempiva la Basilica. La notizia si propagò in un batter d’occhio, e per giorni e giorni non si fece altro che parlare del miracolo. La voce udita? Chi giurò che fosse quella di sant’Antonio. Il signore in nero? il diavolo in persona con i suoi servi. Fatto sta che i due grossi tubi, svuotati dalla polvere da sparo, furono appesi a due ganci di ferro, uno da una parte e uno dall’altra, ai due lati del varco che dalla cappella dell’Arca del Santo conduce alla contigua cappellina della “Madonna Mora”, che è la più antica della Basilica, originariamente detta Santa Maria Mater Domini. E lì ci sono ancora.
AGGIORNAMENTO: dopo il restauro dell’Arca del Santo avvenuto in tempi recenti, i due grossi ceri che ancora si potevano ammirare appesi alle pareti d’ingresso dell’Arca sono stati spostati in Sacrestia, ma sono comunque visibili. Basta chiedere ai custodi che, se la sacrestia è vuota, potranno tranquillamente mostrarveli.
AGGIORNAMENTO 10 novembre 2013.
Dal momento che questo post è stato copiato da almeno quattro siti, senza ovviamente che alcune attribuzione della fonte venisse segnalata, ho provveduto a rimaneggiare ampiamente il testo per distinguerlo dal semplice testo copiaincollato presente nel web.
Wow! Non ne avevo mai sentito parlare. Sebbene non sia mai stata a Padova, leggendo il messaggero sono particolarmente legata al Santo e mi ha fatto piacere leggere questo post.
Thanks!
Ho letto anche gli altri post menzionati nel giochetto…interessantissimi!!!
Brava!Bello vedere come mescoli sacro e profano,mantenendoti sempre su livelli molto alti. Brava brava brava!
Bellissimo il Santo, ci sono stato più volte. Il centro storico di Padova l’ho percorso tante volte, è sempre piacevole ammirare le sue architetture.
semplicemente perchè all’interno della Basilica è proibito fotografare, e dunque non ho testimonianze fotografiche a disposizione.
Se dovessi recarti a visitare la Basilica, però, i ceri li puoi benissimo vedere appesi agli stipiti del portale che, dalla Cappella del Beato Luca Belludi (o della Madonna Mora) porta all’Arca del Santo.
Perchè non posti qualche foto dei due ceri?