Oggi voglio fare qualcosa di diverso. Tentare un esperimento. Scrivere un post partendo da una mia esperienza realmente vissuta e rielaborandola con la fantasia, per vedere fino a che punto sono pazza 😀

Un pozzo (sardegnacultura.it)

I pozzi mi hanno sempre fatto una paura immensa. Li ho sempre visti come bocche oscure protese verso di me, pronte a inghiottirmi.
L’odore che sale da un pozzo, più che da umido e acqua e muschio, mi faceva venire in mente l’odore di cadaveri, perchè ho sempre immaginato che in fondo ai pozzi la gente gettasse dei corpi per non doverli seppellire. Questo lo pensavo da piccola, e ovviamente le mie credenze sono cambiate, ma la paura dei pozzi è comunque rimasta.
Non riesco ad avvicinarmici se non prima di aver controllato se sono ben chiusi.
A casa di mia nonna ne esiste ancora uno, situato all’interno della cantina, che i nonni usavano per abbeverare l’orto. Quel pozzo non ha un muretto a circondarlo come invece hanno i pozzi tradizionali, ma è coperto da una sola lastra di cemento, e ogni volta che devo camminarci sopra ho sempre il terrore che la lastra di rompa e io cada giù…

Ma veniamo alla storia.

Pozzo di Montevecchia (by Amedeo Guffanti)

Dalle parti di Montegrotto Terme, luogo famoso per le splendide cure termali che vengono proposte, sorgeva una bella casa, immersa nel verde di un boschetto. La casa risaliva forse ai primi del ‘900, ma era stata edificata con la struttura tipica di una villa seicentesca, con tanto di timpano e colonnine. La ricordo benissimo. Ora quella villetta ha lasciato il posto a un moderno albergo a 5 stelle, e nel bel mezzo di quel meraviglioso parco sorge una piscina colma di acqua termale che puzza di zolfo.

Di quella casa ricordo un grande cancello arrugginito a chiudere la proprietà, un edificio con i muri scrostati, balconi aperti sul nulla, edere e rampicanti su tutte le pareti, erbacce e alberelli nati ovunque. La desolazione più totale. E, nascosto fra il verde del giardino, un vecchio pozzo in muratura, con tanto di arco, catena e carrucola. 

Samara Morgan (gaiaonline.com)

Nulla di simile a quello che ho raccontato nel post Il Fantasma di casa mia, ma l’impressione che mi ha dato quel pozzo è stata di assoluta paura. Mai e poi mai mi ci sarei avvicinata, non perchè avessi paura che dal pozzo uscisse Samara Morgan, la bimba di The Ring (film che amo infinitamente!), ma perchè già avevo i brividi che mi correvano giù lungo la schiena. Stavo lì in piedi, con la mani aggrappate al cancello, osservando quel cilindro di mattoni che si spingeva giù nelle viscere della terra.

Quand’ecco mi sento battere sulla spalla.

La logica avrebbe voluto che scappassi via che neanche Usain Bolt avrebbe corso così forte, ma la paura mi bloccava ogni muscolo.
Era una bambina. Sei, sette anni. Un vestito nero lungo fino ai piedini scalzi. Carnagione chiarissima, quasi bianca. Occhi neri, con pesanti occhiaie.
Mi guarda. La guardo.

«Ho perso la mia palla» mi dice. Inebetita la fisso. Lei continua. «La mia palla è andata laggiù, vicino al pozzo. Mi aiuti?». Mi muovo dal torpore mortifero che mi ha colpita. Le faccio notare che il cancello è chiuso, che la casa è chiusa, che non sta bene entrare in una proprietà privata, che…..la bambina spinge il cancello, lo apre. 
Entra, e mi fa cenno di seguirla.
Incapace di decidere di mia spontanea volontà, seguo la bambina. Non capisco cosa mi stia succedendo. La bambina mi precede, si volta a guardare se la seguo, mi tende la mano. La prendo, è ghiacciata e bagnata, come se fosse stata troppo a lungo nell’acqua. 
La bambina mi sta portando verso il pozzo.
La seguo, ma vorrei andarmene, eppure non posso. 
Ecco la palla, finalmente! Rotolata vicino al pozzo, poggia sulla muratura, attende solo di essere recuperata. La bambina si ferma a cinque metri dal pozzo, non si muove.
«Vai avanti tu…» dice. La guardo, interrogativa.
«Ho paura del pozzo» dice. Eh, sapessi io! Mi verrebbe da risponderle, ma vado avanti, prendendo la curva larga, in modo da non avvicinarmici troppo. Mi guardo attorno alla ricerca di un ramo con il quale spingere il pallone più lontano dal pozzo, ma in quella dannata casa non c’è nulla!

La bambina è ancora lì, e mi guarda, speranzosa. Mi avvicino quatta quatta al pozzo, mi accuccio e quasi striscio sull’erba per raggiungere il pozzo. Non oso guardarlo, nella paura che dall’oscurità che intravedo spunti fuori qualcosa pronto a ghermirmi…
Ancora pochi passi. Il sudore mi inonda la fronte, scende a bruciarmi gli occhi. Siamo in pieno agosto, però lì vicino al pozzo fa freddo. Sento una corrente d’aria gelida che proviene dalle profondità della terra. 
Mi giro a guardare la bambina. Lei è ancora là, ma la sua espressione è cambiata: non sorride più, è truce, quasi arrabbiata.
Mi affretto. Allungo la mano e afferro il pallone di pezza a spicchi rossi e gialli, la testa bassa, senza osare alzare lo sguardo verso il pozzo che è lì a pochi centimetri da me. 
La palla è tra le mie mani, mi volto verso la bambina.
Un ghigno è dipinto sulle sue labbra. La piccola si mette a correre velocissima verso si me, sempre quasi volare sull’erba, la veste svolazzante quasi non tocca terra. Protende la mani verso di me. Istintivamente mi ripiego su me stessa, la palla ben stretta al petto. La piccola furia mi viene addosso, ha tutta l’intenzione di gettarmi nel pozzo, ma proprio mentre mi preparo al contrasto, la bambina mi attraversa, e scompare dietro di me. Ho appena il tempo di girarmi, con un urlo angosciato, e la vedo gettarsi nel pozzo.
Inorridita mi lancio verso di lei urlando come una pazza, per salvarla, nonstante abbia appena tentato di buttarmi nel pozzo.

Mi precipito al pozzo, poggio le mani sul bordo di pietra e guardo giù, verso l’acqua, nel disperato tentativo di vedere, e salvare, la bambina che si è appena gettata.

Il pozzo è buio. Ma non abbastanza da impedirmi di vedere che il vuoto di spinge per soli due metri di profondità. Oltre, il pozzo è pieno di terra scura, e non c’è traccia della bambina.

«Che succede? Che sta facendo lei, qui?» un uomo accorre brandendo una forca. Continuo a osservare la terra che riempie il pozzo.
«Allora, chi è lei?» dice il vecchio, puntandomi la forca alla gola. Quando però vede la mia espressione terrorizzata capisce che non è il caso di insistere, e garbatamente ripete la domanda, senza urlare. Ho appena la forza di dirgli che una bambina si è appena gettata nel pozzo. 
Il vecchio fa un’espressione indecifrabile: stupito, comprensivo, spaventato e meravigliato al tempo stesso.
«Ha visto….ha visto una bambina?» chiede.
«Sì» rispondo. «Ma questo pozzo……». Il vecchio, comprensivo, mi poggia la mano sulla spalla.
«Adelaide. La bambina di sei anni. Una terribile tragedia».
«Che tragedia? La bambina era qui, con me, mi ha chiesto di recuperare la palla, e si è gettata nel pozzo!» urlo.
«No, Adelaide è morta 10 anni fa in questo pozzo, cadendoci dentro mentre tentava di recuperare un pallone. Suo padre l’ha fatto riempire di terra e sassi dopo quella tragedia, ma il corpicino…il corpicino è ancora lì sotto, perchè nessuno è mai riuscito a calarsi fin giù in fondo a recuperarlo. Il pozzo infatti è molto profondo, davvero molto profondo, e non ci si riusciva ad andare fino in fondo. Povera piccola!».
Non so che dire. 
«Non immaginavo che la storia fosse vera…il fantasma, cioè, perchè tanti dicono che la bambina appare e chiede di riavere il suo pallone, ma basta guardare la tua faccia per capire che anche tu sei una di quelle che l’hanno vista». 
Mi fa cenno che è ora di andare. Mi alzo dal bordo del pozzo, e mi accorgo di avere ancora tra le mani il pallone di Adelaide. Solo che non è un pallone. E’ una bottiglietta di plastica gialla e rossa.

La stessa sera mi giro e rigiro nel letto, pensando a quella terribile giornata. Penso ad Adelaide, al pallone, alla sua morte in fondo al pozzo, al suo corpicino ancora lì nelle viscere della terra. Mi addormento a fatica. 
E mentre sogno, Adelaide viene a farmi visita. Sta lì in piedi, ai piedi del letto, gli occhi spiritati e la veste nera che gronda acqua. Fa paura. Mi osserva, e con voce cavernosa mi dice:
«Non hai recuperato il mio pallone. E non mi hai salvato! Per colpa tua, sono ancora qui». Balzo a sedere sul letto.
«Qui dove? Dove sei Adelaide?».
«All’inferno!» sibila lei, battendo la mano aperta sulla parete del mio armadio.
Spaventata accendo la luce.
Adelaide è scomparsa. Ma sulla parete del mio armadio di legno c’è un’impronta carbonizzata. L’impronta di una mano.
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9 pensiero su “In fondo al pozzo”
  1. Ok, non mi avvicinerò mai a un pozzo in tua presenza..sai mai che ne esca un mostro e mi rapisca nelle viscere della terra?Tu non vorresti certo a salvarmi,mentre indifeso e urlante precipito negli abissi…

    sto sclerando…

    ma devo leggere&commentare tutto,l’ho promesso!

  2. @NIck: anche a me piaceva Sadako, era piccola e indifesa!

    @Edu: siamo in due. Rimasta pietrificata e atterrita. Ci giro ancora al largo.

    1. io dopo aver visto the ring sono stata in ospedale per due giorni per un grave attacco di panico…e fuori dalla finestra c’era un pozzo uguale a quello di the ring, e questo non mi ha aiutato!

  3. I pozzo sono archetipi complessi e oscuri legati da sempre a vicende di cronaca nera e misteri. E poi come giustamente dici anche l’Horror ne ha abusato. Io rimango sempre pietrificato davanti a un pozzo. Hanno una carica visionaria fuori dal comune.

  4. @ML: davveero trovavi Sadako angosciante? Io la trovavo adorabile invece, così fragile e indifesa, nonchè emarginata e non compresa…povera piccola! Che tristezza quando è stata ammazzata di botte!

    @WW: grazie cara! In effetti a tanti i pozzi incutono paura, ma non saprei proprio perchè, in fondo sono così utili!

  5. Effettivamente sei discretamente pazza! 😉
    L’immagine della fantasmina con la palla mi ricorda “operazione Paura” di Mario Bava. Figura decisamente inquetante.
    P.S. alla Samara di Ring preferisco di gran lunga la Sadako di Ringu, il film originale, molto più sinistra e angosciante.
    Bonsoir.

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