Per chi non fosse veneto o  non avesse molta dimestichezza con certi piatti, lo sguazeto (guazzetto) è, come ci dice il dizionario etimologico, una speciale vivanda immersa in una salsa molto fluida, generalmente fatta a base di pomodoro. Oggi non parliamo di ricette: per questo basta e avanza il blog di Waterwitch che quando ci si mette fa davvero venire l’acquolina in bocca. Però parliamo ugualmente di un piatto, di un guazzetto, per l’appunto, che venne preparato molti anni fa a Venezia, in un’osteria situata in Riva di Biasio.

ATTENZIONE!!! LA STORIA CHE SEGUE NON è CONSIGLIATA AI DEBOLI DI STOMACO!

Riva di Biasio è un luogo molto conosciuto, a Venezia: si trova direttamente sul Canal Grande, di fronte alla chiesa di San Geremia, e deve il suo nome a un oste che qui aveva la sua locanda, all’incirca nel primo ventennio del Cinquecento. 
Finché visse, Biasio Cargnio non fu quel esattamente uno stinco di santo.
Erano tre anni che Antonio, da quando aveva iniziato a lavorare alle dipendenze di un impresario edile lì vicino, quando poteva andava in taverna da Biagio a gustare il suo famoso sguazeto, l’intingolo di carne, famosissimo in tutta Venezia.
Nessuno sapeva cosa Biasio mettesse nel suo sughetto, era semplicemente delizioso, e aveva un tocco di piccante che lo rendeva unico nel suo genere. Inoltre, Biasio era anche famoso per le sue salsicce, tenere e saporitissime. Insomma, che si recava per qualche motivo a Venezia non poteva fare a meno di passare prima da Biasio a mangiare sguazeto e portarsi a casa le salsicce.

Un bel giorno Toni stava gustando la sua scodella di sguazeto, quand’ecco, nel ripulirla completamente, si accorse che gli era finito in bocca qualcosa di duro, forse un pezzetto d’osso. Toni non era certo schizzinoso, e non ci fece nemmeo troppo caso: lo sputò sul fondo della scodella, ma al momento di appoggiarla sul tavolo l’occhio cadde su quello strano ossicino.

L’operaio guardò meglio, e trattenne a stento un urlo. Sul fondo della scodella, e non c’era proprio verso di sbagliarsi, stava un piccolo pezzo di dito di un bambino, con tanto d’unghia. Troppe volte Toni aveva baciato e finto di mordicchiare le manine delle sue figlie, e per questo non poteva sbagliarsi, quella era davvero la  falange di un ditino di bambino!

Vincendo una naturale ripugnanza, trovò la forza di raccogliere il dito e di avvolgerlo di nascosto nel tovagliolo, uscire dall’osetria e dirigersi verso il più vicino comando di polizia.
Un minuto dopo la bottega del mostro era piena di gendarmi. Nessuno di loro dimenticò mai lo spettacolo che si presentò ai loro occhi nell’entrare nel retrobottega: ovunque erano sparse piccole membra di bambini. Viscere, arti, minuscoli organi coi quali Biasio, spinto da estro diabolico, preparava le proprie saporite pietanze…Un pentolone sobbolliva sul fuoco, e all’interno si intravedevano, in mezzo al sugo di pomodoro, pezzi di carne sicuramente umana.

Al Cargnio non rimase che confessare le atrocità commesse, anche se non venne mai scoperto quanti bambini uccise, né come e dove si procurasse tanta carne innocente.

La Quarantia Criminale non attese oltre: Biasio fu trascinato da un cavallo dal carcere alla sua bottega, e qui gli furono mozzate le mani; con le mani appese al collo, l’oste fu portato in Piazza San Marco, e decapitato tra le due colonne rosse della riva, dove solitamente si uccidevano i condannati a morte. 

Il suo corpo, tagliato in quarti così come aveva fatto coi bambini, venne esposto su delle forche in quattro diversi luoghi della città, come monito per la città. Anche l’osteria e la casa dell’uomo furono rase al suolo, ma per i veneziani quella rimase la riva di Biasio, malgrado in loro questo nome evochi ancora oggi, a distanza di tante tempo, il terrore di tante piccole vittime sconosciute, ed il loro muto dolore. Una denominazione, quella della lunga fondamenta, che è rimasta malgrado i tentativi della Serenissima di cancellarne la memoria.

Sul sito di Alberta Spagnolo ho scoperto che sul luogo di questi atroci delitti esiste anche una canzoncina ottocentesca:

Sulla riva de Biasio l’altra sera
So andata col putelo a chiapar aria,
ma se m’a stretto el cuor a una maniera
che la mia testa ancora se zavària:
me pareva che Biasio col cortelo
tagiasse a fete el caro mio putelo!
(Sulla riva di Biasio l’altra sera
sono andata col bambino a passeggiare,
ma mi s’è stretto il cuore in una maniera
che la testa ancora mi sembra scoppiare:
mi pareva che Biasio col coltello
tagliasse a fette il mio caro bambinello!)
Allucinante!
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13 pensiero su “Sguazeto d’ossa”
  1. Che orrore…! La cosa peggiore è che sia una storia vera e non un film…o un racconto…
    Mi ha fatto tornare in mente un ‘altra storia orribile…che ho letto da qualche parte…
    Un uomo decise di offrirsi in pasto ad un cannibale..mettendo un annuncio su internet… Trovò il suo carnefice, che lo accontentò più che volentieri… Il racconto dei dettagli era raccapricciante…

  2. Ha ragione Nick. E’ una leggenda comune che si trova nel folclore di vari paesi europei. Cmq non conoscevo questa storia ed è stato un piacere leggerla.

  3. Ricorda un po’ la storia della Cianciulli, la saponificatrice di Correggio, solo che lei con le ossa ed il grasso delle sue amiche ci faceva il sapone…e pare fosse anche di buona qualità! 😉

  4. I bambini non dovrebbero davvero mai essere sfiorati. Quoto in pieno Nick.
    E poi col pomodoro non vengono buoni.

    Scherzavo!!! Che non arrivi l’Agcom (o ancora peggio, mia moglie) e poi ti lapidano il post 😉

    Meglio sdrammatizzare, va, che di atrocità di questo tipo ne vengono fuori ogni giorno… purtroppo. Maledetti.

  5. Allucinante, sono d’accordo, specialmente perchè i bambini non si dovrebbero toccare mai. Mai.
    Se t’interessa in Germania c’è una leggenda simile,sempre su un Oste, sempre nel 500.
    Ed in letteratura c’è un bellissimo racconto di Stanley Ellin; il titolo?
    LA SPECIALITA’ DELLA CASA.
    Ciao.

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