La storia che ho appreso in Val di Fassa, e che vi racconto in questo post, risponde alla mia domanda in modo positivo.
Perchè appena fuori dal paese di Mazzin di Fassa, lungo la strada che porta al famoso capitello al quale ho dedicato un recente post, si trova una fontana.
Una tipica fontana montana, nella quale le mucche si abbeveravano, e si abbeverano ancora, di ritorno dal pascolo. Una di quelle fontane dotate di tavole in legno per fare il bucato, come si usava in passato, anche se da qualche parte questa usanza sopravvive ancora oggi, e io stessa nel corso della mia vacanza ho visto alcune persone, non necessariamente anziane, lavare i propri panni nell’acqua gelida nella fontana.
Insomma, una fontana come tante, se non fosse che sembrerebbe essere stregata.
La storia che sto per raccontare non ha nulla a che vedere con quella della fontana di Castagnola, la cui storia è però molto carina e che vi invito a leggere…
Si racconta infatti che in passato nelle vicinanze della fontana si trovasse una casa, oggi non più esistente, nella quale viveva una donna, da tutti i Fassani considerata una Stria, una strega. La donna, che si chiamava Similde (dal nome della sposa del mitico re Laurino, la cui leggenda è notissima fra queste montagne), non aveva altra colpa di conoscere perfettamente tutte le erbe dei boschi e di essere in grado di curare, con esse, svariate malattie.
Ma questa sua competenza le era valsa, da parte delle superstiziosa compaesane, la nomea di strega. E in più il fatto che, dice la storia, fosse una bellissima donna, aveva contribuito a farne un perfetto bersaglio da parte del popolani. Si racconta che avesse lunghi capelli d’argento, e profondi occhi neri.
La sorte decise di giocarle un brutto scherzo quando, un brutto mattino, nella fontana di Similde annegò un bambino. Purtroppo però Similde venne trovata lì vicino alla fontana, mentre tentava in tutti i modi di tirare su dall’acqua il piccolo, che però era già morto.
I paesani la videro china nella fontana, con le mani e le braccia immerse nell’acqua, e quando si avvicinarono videro il bambino adagiato sul fondo della fontana. Subito pensarono che fosse stata la stessa Similde ad ucciderlo, e prontamente catturarono la donna.
Non si sa come il piccolo fosse caduto nell’acqua, non ci fu tempo per avviare un regolare processo, capire le ragioni, le cause, le ipotesi. Per l’opinione pubblica era stata Similde a uccidere il bambino, con il quale voleva fare chissà quale sortilegio.
Il corpicino del piccolo venne estratto dall’acqua, e si decise che Similde dovesse pagare con la vita l’atto che aveva commesso. La donna venne legata, mani e piedi, e quindi gettata nell’acqua. Si decise infatti che sarebbe stata l’acqua stessa a giudicarla colpevole o innocente: se avesse galleggiato sull’acqua, Similde era innocente, perchè l’acqua rifiutava di uccidere un innocente, ma se fosse andata a fondo, l’acqua avrebbe così reso manifesta la sua colpevolezza.
Similde venne dunque legata e gettata nella fontana. La donna non gridò nè pianse. Si limitò solamente a fissare con i suoi occhi neri le persone che crudelmente l’avevano accusata di una colpa che non aveva commesso, promettendo quasi una tacita vendetta. Per un po’ la camicia bagnata che indossava trattenne l’aria al suo interno, e la gente gridava la sua innocenza.
Ma poi l’aria uscì dalla camicia, e Similde andò a fondo. La gente la osservò, immobile, mentre annegava.
Continuò a osservarla mentre, morta, giaceva sul fondo della fontana, i capelli d’argento che ondeggiavano come alghe sul fondo della vasca, gli occhi neri sbarrati a guardare il cielo, oltre l’acqua.
La gente si divise sulla sua innocenza o colpevolezza: era annegata, dunque era colpevole. Ma prima di morire Similde aveva galleggiato, manifestando così la sua innocenza…
Solo in seguito si seppe che una donna aveva osservato a tutta la scena dalla finestra della sua casa. Disse di aver visto il bambino giocare nei pressi della fontana, arrampicarsi sul parapetto, sporgersi e cadere nell’acqua gelida, svenendo per il grave choc termico e morendo quindi annegato. Non era stata Similde ad ucciderlo, dunque.
Non si sa quanto di vero ci sia in questa leggenda. Si dice però che qualche volta, mentre si sta bevendo alla fontana, un bagliore improvviso solchi le acque profonde e fredde della vasca, e se si ha il coraggio di rimanere a guardare l’acqua, si veda un volto pallido, con profondi occhi neri, che scrutano dalle profondità della vasca gridando la propria innocenza.
Quel che è certo è che a poca distanza dalla fontana della Stria c’è una casa che stregata lo è per davvero…il suo nome è “Gasthaus zum schwarzen man“, ovvero la Locanda dell’Uomo Nero…
bell’articolo anche questo…streghe, fantasmi, c’è di tutto qua!!
che storia triste… cioè, interessantissima, ma triste… sarebbe bello se tutte queste leggende continuassero a tramandarsi, ma io già di quelle del mio paese non ne conosco e non conosco nessuno che le conosca… uffa .__.
Bella storia. C’è una fontana identica nel posto dove vado in montagna di solito, dovrò informarmi riguardo ad eventuali leggende a cui potrebbe essere legata.
Concordo con Angie, triste e bella questa storia…e con Nick, anche io conoscevo quella versione sulla prova di innocenza/colpevolezza…ed effettivamente non c’era scampo…se andava a fondo era innocente..ma annegava..
Ho aperto un nuovo blog di cinema dove ognuno può collaborare scrivendo “recensioni”, passa se ti va: http://onewordaboutcinema.blogspot.com/
A presto!
Bravissima, è triste ma bella questa storia, che evidenzia tutti i pregiudizi del passato?
Non so ma, anche oggi, qualcuno se potesse manderebbe al rogo chi è diverso da lui.
Scrivi benissimo.
Ciao Angie.
La Convinzione delle Streghe e dell’acqua era conosciuta anche dagli inquisitori di Salem nel 1692, con un peggioramento però: secondo Cotton Matter e i suoi colleghi se la donna annegava allora era innocente ma se invece galleggiava allora era colpevole perchè era il Diavolo che la proteggeva.
Come vedi i poveri condannati innocenti a Salem (donne, uomini e in alcuni casi anche bambini) non avevano nessuna speranza di salvarsi.