Il 14 giugno 1779, nel sestiere Dorsoduro, avvenne qualcosa che turbò a lungo la quiete dei veneziani.
Ci sono state varie versioni di questa terribile storia che ci parla di un delitto, e ogni volta la versione cambia, soprattutto per quanto concerne i luoghi in cui il fatto si verificò.
Cosa accadde? Molto semplicemente, se così possiamo dire, i pezzi di un cadavere vennero ritrovati in un paio di pozzi e in due diversi canali di Venezia.
Dapprima, fu rinvenuto a galleggiare nell’acqua del pozzo sito presso la chiesa dei santi Gervasio e Protasio un busto e un paio di braccia. Quindi, in un secondo pozzo presso la chiesa di Santa Margherita, ecco che spuntarono due gambe.
Già questi ritrovamenti sarebbero bastati per suscitare in città una curiosità davvero morbosa, ma il peggio si ebbe solo l’indomani allorquando nel Canale di Santa Chiara si trovò una testa umana, e i pescatori che transitavano nel Canale della Giudecca recuperarono nelle loro reti, tra calamari e branzini, alcuni visceri umani.
Il corpo, o quel che ne rimaneva, fu dunque ricomposto e il Governo della Serenissima diede subito ordine affinchè le indagini venissero aperte, traslando il cadavere martoriato al Ponte della Paglia, dove comunemente di esponevano i cadaveri dei morti annegati per effettuarne il riconoscimento.
Purtroppo, nessuno si presentò a reclamare il corpo, e al fine di evitare problemi igienico-sanitari, si diede ordine di seppellire il corpo eccetto la testa, che fu imbalsamata ed esposta, per cercare di risolvere il mistero.
La capigliatura del cadavere aveva ai lati della fronte due ciocche di capelli che terminavano in due riccioli, com’era d’uso presso le classi meno abbienti. Per ottenere questi riccioli, i capelli venivano unti d’olio e quindi arrotolati attorno ai cosidetti rolò, rotolini di carta che venivano mantenuti in loco durante tutta la notte.
Il cadavere presentava i riccioli ancora avvolti nel rolò, il che significava che il povero assassinato era stato ucciso durante la notte, e quando si sciolse il rolò, si scoprì che era stato realizzato con delle vecchie lettere, sulle quali si leggevano ancora chiaramente le iniziali V.F.G.C.
Tutte queste informazioni furono riportate sulle gazzette pubbliche, una delle quali giunse fino a Este tra le mani di un tale Giovanni Cestonaro, che insospettito dalle inziali si recò in fretta a Venezia.
Qui con orrore riconobbe nella testa decapitata e imbalsamata quella del proprio fratello Francesco, al quale scriveva sempre formandosi con l’acronimo V.F.G.C.: Vostro Fratello Giovanni Cestonaro.
Fu a quel punto facile ricostruire la vita dell’irrequieto Francesco, che aveva lasciato ben presto la casa paterna per andare a cercar fortuna all’estero, girando i più svariati paesi ed esercitando un’infinità di mestieri. Ad un certo punto del suo peregrinare, dopo aver lascianto incinta una giovane olandese e non avendola voluta sposare, era approdato in Sicilia, pare a Catania, dove aveva sposato Veneranda Porta da Sacile, vedova trentenne madre di due bambini.
La coppia, che nel frattempo si era trasferita a Venezia, ebbe una figlia che venne affidata ad alcuni parenti del defunto, residenti a Este.
I sospetti degli investigatori caddero subito sulla moglie, che non aveva certo una condotta irreprensibile. Numerose lettere che Francesco aveva inviato alla moglie testimoniavano infatti come egli fosse al corrente della tresca che Veneranda portava avanti da tempo con un giovane di nome Stefano Santini, originario di Udine.
Le indagini, che fino a quel momento erano state totalmente infruttuose, subitono improvvisamente una svolta.
Il 26 giugno Veneranda Porta venne arrestata e sottoposta a interrogatorio.
Una tradizione popolare vuole che la donna si fosse ribellata contro i giudici con forza, negando ogni addebito, e anzi prendendosi gioco di loro, sicura che non vi fossero prove a suo carico. Quando però le fu mostrata la testa mozzata del marito, Veneranda ebbe un improvviso crollo. La stessa tradizione dice (ma sulla veridicità o meno della seguente affermazione non posso assicurar nulla, in quanto solo una fonte tra quelle che ho analizzato riporta il particolare) che, inspiegabilmente, gli occhi di Francesco si aprirono da soli allorquando la testa fu posata sul tavolo davanti alla donna, e fu proprio questo evento che costrinse Veneranda a confessare il delitto.
Veneranda puntò su quella che oggi potrebbe definirsi “legittima difesa“, raccontando come il marito l’avesse più volte minacciata di morte, e come avesse anche tentato di assassinare sia lei che Santini.
L’amante e il marito, raccontò Veneranda, erano spesso venuti alle mani, ma giurò che era stato Stefano ad assassinare Francesco, e che, dopo averlo ripetutamente colpito con una mazza di ferro, lo aveva tagliato a pezzi spargendone i resti per la città.
Passarono alcuni mesi prima che anche Santini venisse arrestato, ma appena catturato confessò, coinvolgendo pesantemente Veneranda, che accusò di averlo sedotto e costretto ad uccidere Francesco. Disse anche che era stata lei a sferrare al poveretto il colpo mortale, quando gli aveva tappato la bocca con la gonna per impedirgli di gridare e chiedere aiuto, e l’aveva poi colpito alla gola con un rasoio staccandogli quasi di netto la testa.
Il caso era praticamente risolto. Si trattava solo di attribuire ai due assassini la materiale responsabilità del delitto, per stabilire le rispettive pene. Ciò avvenne grazie a una testimonianza di Vittoria, la figlia maggiore di Veneranda, che aveva assistito al fatto e confermò il coinvolgimento dei due amanti diabolici in tutte le fasi del delitto. Emerse inoltre che avevano tentato di uccidere Francesco con il veleno per ben tre volte, in passato.
Veneranda Porta e Stefano Santini vennero condannati alla decapitazione, condanna che fu eseguita il 12 gennaio 1790, ponendo così fine a uno dei casi più sanguinosi dell’epoca. Dopo la decapitazione, il Santini fu preso e squartato, allo stesso modo in cui lui stesso aveva fatto a pezzi il cadavere di Francesco.
no,tu non sei umana,tu sei un fantasma incarnato in un’umana,confessa!Quante vite hai vissuto per imparare tutte queste cose?
@Melinda: lieta ti sia piaciuta 😉
@Luigi:sì, purtroppo è molto molto attuale, praticamente se ne sentono continuamente di cose così
@Edu: tranquillo Edu, ho notato la tua latitanza dal Mondo di Edu, attendo fiduciosa,anche perchè vorrei un tuo parere sul fantasma del catajo di cui ho parlato recentemente ^__^
@vale: tranqui, da lì nn scappa!
Azz, il post del Campiello del Remer me l’ero proprio perso! Grazie per il link, ora me lo vado a leggere ;D
@Donata
Scusami se ho latitato un po’ ma come hai potuto vedere anche sul mio blog è un periodo che mi sto dedicando poco al web per altri impegni.
Ritornerò più forte che mai. ^__^
Ciao.
Sì, è un tipo di vicenda ben applicabile anche ai nostri giorni, purtroppo.
E per una volta non è la donna vittima tradita e sofferente.
Che storia!!! 😉
@Nick: davvero??Beh sn molto contenta di averti ispirato!
@klod: ti spaventi per così poco? è la sorte che toccherà a te se nn la pianti di stressarmi! 😉
@Vale: grazie cara!Il delitto di Loredan l’ho già trattato qui, e in effetti non è che uno degli innumerevoli esempi di delitti avvenutio tra calli&campielli. Bella la foto in apertura, vero? L’ho vista e nn ho potuto nn metterla, comeplice anche il desiderio che ho di accompagnarci qualcuno… ^___^
@Angie: è quel che mi chiedo ancor oggi, perchè sembra stranamente molto attuale come vicenda…
@@Leggivendola: Grazie, faccio come sempre del mio meglio
@WR: grazie!
@Ariano: in effetti stride molto con il contesto di Venezia bella&romantica, ma il mistero di Venezia nn cesserà mai di stupirmi
@Misia: Villa Dunardi? Altrochè che ne ho sentito parlare!!! Difatti sto pensando di farci un post, in un futuro anche molto prossimo.
@Edu: bentornato!!! grazie, mi mancavano i tuoi commenti!
Una storia davvero bella. Complimenti.
Uh che assassini efferati! Anche se di cose orribili se ne vedono ancora oggi.
Comunqu, come sempre post interessanti.
Ti do uno spunto, anche se è nettamente fuori dal tuo territorio…di Villa Dunardi hai sentito parlare?
Mamma mia, sarà che la Venezia settecentesca la collego alla gioia di vivere ma un episodio così cruento mi pare quasi abnorme in quel contesto. Purtroppo casi di “cronaca nera” esistono ed esisteranno sempre ovunque.
Un bel post per una terribile storia
wow… post interessantissimo e particolareggiato. complimenti.
Bellissimo post, e storia tremenda, …..chissà perchè nonostante il divorzio certi delitti continuano anche oggi…
Bravissima….
Ciao
Angie
Bellissimo post =)
(amo follemente Venezia, ho sbavato mezzora sulla prima foto allegata u.u)
Chissà perché quando ho letto il titolo ho pensato subito a Fosco Loredan e il Campiello del Remer, anche se le date non coincidono (il tuo post parla di un fatto risalente al 1700, il delitto di Loredan invece è intorno al 1500), comunque questa storia non la conoscevo quindi ho molto apprezzato il tuo post!
Ne ho sentite tante di Venezia (di recente qualcosa a proposito dell’isola di Poveglia), ho anche una serie di libri sull’argomento che non ho mai finito di leggere, perché c’è così tanto da sapere e da scoprire a ‘sto mondo che a volte vorrei avere due cervelli e mezzo a disposizione, e un giorno piacerebbe anche a me approfondire qualcuna di queste storie, anche se non sono un granché a scrivere questo genere di post.
Scusa la divagazione =P
E ancora complimenti per il tuo blog!
Ciaoooooo
spavento!
Mi hai dato l’idea per un racconto.
Grazie.