Il 12 maggio 1947 la rivista LIFE uscì con una foto destinata a far molto parlare di sè. La vedete qui a fianco. La scattò il primo maggio dello stesso anno Robert C. Wiles, fotografo alle prime armi e ritrae una donna, Evelyn McHale, che si era appena suicidata, gettandosi dal terrazzo panoramico dell’Empire State Building, il simbolo di New York. Ci troviamo sulla 33ima strada, la mattina è calma e tranquilla, la gente cammina frettolosa dirigendosi ognuno verso la propria destinazione, quando, davanti all’Empire State Building, si udì il suono di lamiere contorte. La gente guardò verso la strada, immaginando di vedere un incidente, invece l’attenzione di tutti venne attirata da una limousine scura, parcheggiata sotto l’Empire Stata Building, e sul suo tetto, che appariva sfondato. Tra le lamiere contorte, il corpo, intatto, di una donna. Evelyn Mchale, la donna piovuta dal cielo.
Come detto, tra le persone che quel mattino assistettero alla tragedia, c’era anche il giovane Robert, che decise di “cogliere l’attimo” immortalando il corpo della donna tra le lamiere, creando uno scatto che divenne un vero mito.
Chi era la bella suicida? Evelyn McHale, che a 23 anni decise, il 1 maggio 1947, di gettarsi dall’86esimo piano del grattacielo simbolo di New York, ponendo fine alla sua vita. Si gettò dall’ultima terrazza del grattacielo, prima del famoso “spuntone” reso celebre da King Kong. Per terra, vicino alla bassa balaustra (troppo bassa per essere davvero sicura, dirà in seguito qualcuno) sono stati trovati i suoi oggetti personali, il biglietto che aveva acquistato la mattina stessa per salire sull’Empire State Building e due lettere, una indirizzata al fidanzato, e promesso sposo, Barry Rhodes, e una a chi avesse trovato il corpo. Suicidio premeditato lungamente, dunque.
Ma cosa spinse una giovane donna, nel fiore dell’età, in procinto di sposarsi, a suicidarsi?
Storia di Evelyn McHale
C‘è da dire, innanzitutto, che Evelyn non ebbe un’infanzia facile. Nata nel 1923, sesta dei nove figli di Helen and Vincent McHale, fu costretta a spostarsi molto di frequente, a causa del lavoro del padre, che faceva l’esaminatore di banca. Questo continuo spostarsi di città in città esasperò anche la madre di Evelyn che, a un certo punto, quando il marito paventava la possibilità di trasferirsi nuovamente a Washington, chiese il divorzio, abbandonando il marito coi nove figli. Evelyn non perdonerà mai alla madre di aver abbandonato l’intera famiglia per non essere stata in grado di adattarsi alle necessità del marito.
Vincent McHale così prende i nove figli e tutti assieme si trasferiscono a New York. Evelyn inizia a studiare e, dopo la laurea, si arruola nel corpo femminile dell’esercito. Quindi si trasferisce a Jefferson, nel Missouri. La sua carriera militare non decolla, ed Evelyn sfoga la sua rabbia addirittura bruciando la sua uniforme.
Quindi Evelyn torna a New York, ospite del fratello e della moglie a Long Island. Qui trova un impiego come contabile alla Kitab Engraving Company di Pearl Street, Manhattan, e qui incontra un ragazzo di nome Barry Rhodes, che studia in un college a Easton, in Pennsylvania, dopo un passato presso la United States Army Air Force.
La relazione tra i due procede a gonfie vele, ed Evelyn si reca spesso a trovare il fidanzato, che dista a un’ora e mezza circa da New York.
Un giorno, il fratello di Barry si sposa, e a Evelyn viene chiesto di fare da damigella… Evelyn in un primo momento accetta, poi, in preda a un raptus di follia, brucia il suo vestito da damigella urlando “Non lo voglio più vedere!”. Barry non dà molto peso all’accaduto, ipotizzando che la fidanzata sia solo molto stressata, e le serva un periodo di riposo.
Evelyn trascorre col fidanzato anche il 30 aprile 1947, giorno in cui Barry compie 24 anni. Ricordate questa data. 30 aprile 1947.
Barry ed Evelyn trascorrono una piacevole giornata, e quando infine il fidanzato la riaccompagna a casa, la ragazza sembra entusiasta per l’imminente matrimonio.
Barry ricorderà così quel giorno:
“Quando l’ho baciata per salutarla, era felice e normale come qualsiasi ragazza in procinto di sposarsi.”
Evelyn arriva a New York che è quasi buio. Affitta una stanza al Governor Clinton Hotel, sulla 31ima strada. probabilmente è in questa stanza d’albergo che nella mente della ragazza si fa strada il pensiero più drammatico. Forse è in questa stanza che scrive le due lettere d’addio, le mette nella sua borsetta. Poi va a dormire. Si dice che la notte porti consiglio, ma quale consiglio avranno portato, alla povera Evelyn, le voci della notte?
Alle 10.30 del mattino successivo lascia l’albergo e si dirige verso l’Empire State Building. Il grattacielo è l’edificio simbolo di New York, molta gente lo affolla già fin dalle prime luci del giorno, interessate a visitare la terrazza panoramica da cui si può ammirare tutta New York dall’alto.
Evelyn, come altri uomini e donne quel giorno, compra il biglietto per la vista panoramica e sale all’86imo piano. Qui si toglie il soprabito, lo piega diligentemente, lo posa a terra assieme alla borsetta, si avvicina alla balaustra, davvero bassa, e… si lascia cadere nel vuoto.
Il resto è storia nota, documentata dalla fotografia. Di Evelyn restano solo le lettere.
Ecco cosa scrive in quella indirizzata al fidanzato Barry:
“Vivrai meglio senza di me, non sarei una brava moglie per nessuno…”.
E in quella indirizzata a chi avesse trovato il suo corpo:
“Non voglio che nessuno, della mia famiglia o meno, veda alcuna parte di me. Potete distruggere il mio corpo cremandolo? Prego voi e la mia famiglia: non voglio nessun funerale o commemorazione. Il mio fidanzato mi ha chiesto di sposarlo in giugno. Starà molto meglio senza di me. Dite a mio padre che ho preso troppe tendenze da mia madre…”.
Ecco, forse è è proprio questo il nodo cruciale del fatto: che Evelyn avesse paura di diventare come la madre, di lasciarsi andare a escandescenze senza motivo e di finire, forse, per abbandonare il marito per futili motivi come fatto dalla sua stessa genitrice. Il suicidio potrebbe essere stato inteso dalla ragazza come un estremo tentativo per non cadere in questa possibilità?
Oppure, molto più semplicemente, la ragazza era davvero sotto pressione, si sia lasciata andare a crisi depressive e non abbia trovato altra via di sfogo che il suicidio?
Nessun potrà mai, purtroppo, rispondere a queste domande. Altre persone, dopo Evelyn, si suicidarono gettandosi dall’Empire State Building, e quello di Evelyn su il quinto suicidio in tre settimane. Solo dopo i proprietari del grattacielo decisero, finalmente, di alzare la balaustra della terrazza dell’86esimo piano…ma intanto, altre morti erano state mietute dall’Empire. Dalla sua costruzione, nel 1931, l’Empire State Building conta finora la bellezza di 36 suicidi, di cui 17 avvenuti dal punto di osservazione dell’86imo piano.
Sicuramente, l’immagine di Evelyn morta, in una bellezza quasi assurda per una persona gettatasi dall’86esimo piano di un grattacielo, non è passata inosservata. Diventò quasi un’icona, tanto che Andy Warhol se ne servì per riprodurla innumerevoli volte, com’è nel suo stile, nella sua famosa “Fallen Body”, una tra i quadri della serie “Death and Disaster” (1962-67).
Evelyn è da sempre considerata come “la suicida più bella”, e spesso quest’appellativo è accostato a un altro “suicidio più bello”, un’altra foto, diventata icona, che ritrae Thích Quảng Đức, monaco buddista vietnamita, seduto al centro di un incrocio di Saigon, immortalato nell’atto estremo di farsi fuoco.
La foto venne scattata nell’11 giugno 1963 da Malcolm Wilde Browne.
Perchè ne parlo? lo scoprirete la prossima volta 🙂
In Italia esiste un’altro luogo di suicidio il santuario di Madonna del Sasso in Piemonte vicino al Lago D’Orta