Non siamo ai livelli dell’orfanotrofio St. Mary’s Mother and Baby Home di Tuam, in Irlanda, ma poco ci manca.
Nel corso delle mie ricerche sui serial killer, per rimpinguare il dossier che sto preparando, mi sono chiesta: chi è stato il più feroce serial killer mai esistito?
Al momento, prendendo in considerazione solo il numero di vittime, forse Harold Shipman (1946-2004) può essere considerato il più feroce dei serial killer britannici, per aver ucciso, durante la sua attività di medico, circa 230 dei suoi pazienti, iniettando loro una dose letale di morfina o prescrivendo dosi alte di curativi. Venne arrestato con l’accusa di aver falsificato in suo favore i testamenti di alcune delle sue vittime, ritenuto colpevole di 15 omicidi e condannato ad altrettanti ergastoli. Nel corso delle indagini, quando il suo nome venne collegato ad altre 260 morti sospette e Shipman venne ritenuto colpevole di 215 di queste morti, il medico si suicidò in cella per evitare un ulteriore processo.
Ma in questa particolare classifica dell’orrore Amelia Dyer non è da meno, e probabilmente, se il suo caso venisse studiato meglio, passando oltre le cortine del tempo, risulterebbe essere senza dubbio la più feroce serial killer non solo della Gran Bretagna, ma del mondo intero.
Amelia Dyer si rese responsabile della morte di un numero impressionante di bambini, chè di mestiere questa donna faceva la levatrice: si stima che perirono, a causa sua, tra i 200 e i 400 piccoli.
Amelia Elisabeth Dyer nacque nel 1838 in una famiglia agiata di Bristol, ultima di cinque fratelli, tre maschi e due femmine. Il padre, Samuel Hobley, era un mastro calzolaio mentre sua madre, Sarah Weymouth, era affetta da una malattia mentale causata, parrebbe, dal tifo. Amelia iniziò a vivere la sua vita in comleta solitudine: imparò presto a leggere e a scrivere, e si interessò di poesia e letteratura, cercando in qualche modo, attraverso i libri, di estraniarsi dalla vita quotidiana scialba e piatta che viveva. La madre di Amelia morì nel 1848, suo padre nel 1859, e due anni più tardi Amelia si trasferì a Trinity Street, a Bristol. Qui conobbe George Thomas, un uomo molto più anziano di lei: aveva 59 anni quando la ventiquattrenne Amelia lo conobbe. Fu necessario adottare uno stratagemma per sposarsi: George disse di aver 48 anni, Amelia 30.
Diventata la signora Thomas, Amelia si interessò alla medicina, e divenne infermiera. Le cose andavano bene, finchè ad Amelia e George infine nacque una bambina, Ellen. Poi, nel 1869, George morì, e Amelia, che aveva solo 32 anni, iniziò ad avere le prime difficioltà economiche: continuò, almeno all’inizio, a lavorare come infermiera, poi, parlando con una levatrice, scoprì che molte levatrici avevano adottato un modo più semplice e sicuro per guadagnarsi da vivere. Da che mondo è modo, i figli nati ad di fuori del matrimonio ci sono sempre stati, ma in tempi più antichi erano motivo di scandalo per le donne che ne avevano, che venivano allontanate dalla comunità e relegate nel loro ruolo di “peccatrici”. Così le levatrici si offrivano di nascondere le nascite dei figli illegittimi in cambio di denaro, a un prezzo che si aggirava solitamente tra le 50 e le 80 sterline: si ospitavano le partorienti in casa, le si faceva partorire, ci si occupava del neonato fino a quando questo non avesse raggiunto l’età giusta per essere messo in adozione, e poi si continuava con altre donne.
Purtroppo però era prassi comune tra le levatrici far morire di fame i piccoli, sedandoli con alcool e oppio, per poter far più soldi possibile.
Venuta a conoscenza di questa possibilità, Amelia Dyer decise di dedicarsi anche lei a questa attività, vantando la sua qualifica di infermiera. Inizialmente i piccoli raggiungevano l’età giusta per essere messi in adozione, ma ben presto anche Amelia decise di far morire i bambini che aveva in affidamento, non provvedendo più alla loro nutrizione. Tutto sembrava andar liscio per Amelia, fino a quando un medico che certificava il suo lavoro da infermiera non scoprì che erano morti tanti bambini sotto le sue mani. Amelia venne così arrestata, nel 1879, non per omicidio plurimo, quanto per negligenza, perchè si suppose che i bambini fossero morti perchè Amelia non badava sufficientemente a loro. Amelia scontò la sua pena passando sei mesi ai lavori forzati, che la provarono psicologicamente. Fu allora che Amelia iniziò a soffire di depressione, manifestò tendenze al suicidio e si lascò anadre al consumo smodato di oppiacei e alcool. Finiti i sei mesi di lavori forzati, Amelia Dyer tornò alla sua antica occupazione, occupandosi, a modo suo, dei bambini che le ignare donne affidavano alle sue cure.
Tentò di depistare i sospetti che inevitabilmente gravavano su di lei, trasferendosi spesso in altre città inglesi e usando svariati pseudonimi. Non servì a nulla, perchè venne nuovamente arrestata per altre morti sospette. Nel 1890 venne ricoverata in un ospedale psichiatrico dopo aver nuovamente tentato il suicidio e quando ne uscì, tre anni dopo, era ancora più provata. Due anni più tardi si trasferì nel Berkshire insieme alla figlia Ellen, a una socia, Jane Smith, e ai figliastri (avuti con un uomo rimasto misterioso che Amelia aveva sposato nel 1872), Mary Ann detta “Polly” e Arthur Palmer, e continuò il suo operato di levatrice.
Suo tratto distintivo era un nastrino bianco, con il quale Amelia strangolava i bambini, prima di chiuderli in un sacco pieno di mattoni e abbandonarli al loro destino nelle acque del fiume Tamigi. E fu proprio quel nastrino a essere la firma della sua condanna.
Nel 1896 un pescatore che si trovava sul Tamigi vide affiorare un sacco. Lo prese, e al suo interno trovò il cadaverino in putrefazione di una bambina. Sconvolto, portò i poveri resti alla polizia, e qui gli ispettori fecero due interessanti scoperte: il nastrino bianco che si trovava al collo della bambina era uguale a quello rinvenuto addosso ad altri due cadaverini di bambini recuperati pochi mesi prima nel Tamigi. In secondo luogo, esaminando la carta da imballaggio in cui era avvolto il cadavere della bambina, la polizia trovò un biglietto in cui era segnato un indirizzo e un nome: “Signora Thomas”. Subito i sospetti si concentrarono nuovamente su Amelia Dyer, che venne messa sotto osservazione. Si decise anche di tenderle una trappola: un’agente si finse levatrice a andò a parlarle, chiedendo se conoscesse un metodo per fare soldi facili, in fretta, e Amelia, che evidentemente non sospettava nulla e si considerava intoccabile, le svelò il suo segreto, spiegandole che effettivamente un modo c’era: farsi affidare i neonati dalle mandri che l’avevano appena dato alla luce, promettendo di svezzarlo fino a afrgli raggiungere l’età per l’adozione, e invece sprovvedere a sbarazzersene dopo poco, strangolandoli con un nastrino (se non venivano lasciati prima morire di fame) e quindi messi in un sacchetto, riempito di mattoni, e gettato nel Tamigi.
Era abbastanza per far scattare una perquisizione a casa di Amelia: quando la polizia arrivò nell’appartamento un tanfo di putrefazione colse i poliziotti, lasciandoli interdetti, ma nonostante le perquisizioni non vennero rinvenuti cadaveri. Vennero invece trovati dei telegrammi in cui si davano degli accenni sulle adozioni, e numerose lettere di madri che chiedevano ad Amelia se il loro bambini stesse bene… ma nessun bambino c’era, in quella casa… c’erano poi delle ricebute per gli annunci pubblicitari sulle adozioni che la donna stessa affiggeva e, soprattutto, del filo di stoffa bianco, uguale a quell oche era stato rinvenuto sui corpicini dei bambini rinvenuti cadaveri nel tamigi.
Appariva chiara la colpevolezza della “Signora Thomas”, e la donna venne arrestata e ritenuta colpevole della morte dei sei bambini ritrovati cadaveri nel fiume inglese e la si sospettò di essere la mano che aveva provocato la fine di altri bambini, il cui numero oscillava tra 200 e 400.
I figli della Dyer furono scagionati dalle accuse, mentre la donna fu processata il 22 maggio 1896 e riconosciuta colpevole di un omicidio, perchè per gli altri di cui era stata sospettata non c’erano prove sufficienti a incriminarla. Benché la Dyer soffrisse con ogni evidenza di problemi mentali e abusasse di alcolici e stupefacenti, non le venne riconosciuta alcuna infermità mentale, e venne dichiarata incapace di intendere e di volere.
La sentenza prevedeva la pena capitale: Amelia venne condannata a morte per impiccagione, e la sentenza venne eseguita alle nove del mattino del 10 giugno 1896 nella Newgate Prison di Londra.
Prima che la botola si aprisse, spezzandole il collo, Amelia guardò dritto di fronte a lei e disse: “non ho nulla da dire”. E così finì la vita di Amelia Dyer, la più feroce, e antica serial killer di bambini.