Quando scrissi il mio romanzo Regina Mundi, nel descrivere il personaggio di suor Felicita non potevo minimamente pensare che al mondo potesse esistere qualcuno di simile a lei… eppure, quando mi sono imbattuta nella storia di Mariam Soulakiotis, e ho dovuto ricredermi.
Mariam Soulakiotis nacque in Grecia nel 1900, da una famiglia contadina povera ed estremamente religiosa.
Alla ragazza la vita misera che viveva non era mai piaciuta granché, e nel 1930 trovò una valvola di sfogo inaspettata. Si era infatti stabilito da poco nelle vicinanze un monaco greco ortodosso, Padre Matthew, che nel 1926 aveva fondato una setta religiosa, chiamata “i nuovi calendaristi”, in aperto contrasto con i calendaristi tradizionali, con lo scopo di riportare i principi di povertà, devozione e disciplina che ai calendaristi erano venuti a mancare.
Piccola regressione: il movimento dei Vecchio-Calendaristi era nato nel 1924 in Grecia, come aperta reazione all’introduzione del calendario giuliano riformato (o “nuovo calendario”). I Vecchio calendaristi non vedevano di buon occhio la scelta di cambiare il calendario tradizionale in favore di quello gregoriano per calcolare il ciclo delle feste a data fissa, cambiamento che doveva servire a riavvicinare l’ortodossia alle confessioni cristiane occidentali. I Vecchio calendaristi, che erano principalmente Ortodossi strettamente osservanti, credevano che la modifica del calendario modificasse profondamente l’intero impianto della tradizione ecclesiastica, con i suoi cicli liturgici, le feste e i digiuni comandati. Per questo, molti di loro sostenevano che questa riforma fosse l’inizio di una fase modernista che avrebbe, a lungo andare, portato alla rovina la Chiesa stessa, privandola delle sue fondamenta.
Torniamo a Padre Matthew. In aperto disaccordo con i Vecchio-Calendaristi, per formare i Nuovi Calendaristi l’uomo aveva costruito nella cittadina di Keratea, a circa 30km da Atene, un convento per suore e un monastero per frati, in cui venissero insegnati i principi su cui si fondava tradizionalmente il credo dei calendaristi. Padre Matthew aveva chiesto a Mariam di entrare in convento e di aiutarlo nella sua gestione. Il monaco guidò entrambi i conventi fino al 1939, quando morì, dopo aver lasciato nelle mani di Mariam la gestione di tutto. In quegli anni in cui Padre Matthew aveva gestito monastero e convento, aveva osservato l’operato di Mariam, e l’aveva vista scalare velocemente i ranghi della setta grazie alla sua tempra e a un carattere forte e autoritario, così a nessuno era parso strano che, all morte di Padre Matthew, prendesse il controllo dei Nuovi Calendaristi, fondendo i due monasteri in uno unico e iniziando il suo operato.
Diventata madre superiora, Mariam pensò di convincere quante più persone possibile a entrare in quella che era divenuta ormai una vera e propria setta, e mandò monaci e monache a convincere la gente, specialmente se molto facoltosa, a lasciare tutti i loro averi e a entrare nella compagnia…furono soprattutto le donne a diventare le “vittime” preferite di questa massiccia reclutazione. Le poverette infatti vennero raggirate ben bene, abbandonarono la vita mondana, lasciarono ogni loro avere nelle mani di Mariam Soulakiotis ed entrarono nel convento, scegliendo una vita di clausura fatta di stenti e privazioni con la speranza, come assicurato loro dall’abile superiora, di ottenere la vita eterna.
Convinte da Mariam Soulakiotis di essere peccatrici e di essere condannate all’inferno per la vita dissoluta che avevano finora vissute, le poverette vennero completamente assorbite dalla vita durissima che la clausura imposta da Mariam riservava loro: giorni interi passati in preghiera o in meditazione, senza dormire; flagellazioni o fustigazioni per espiare i peccati, digiuni a oltranza, osservanza di un totale silenzio…
Ben presto però questo stile di vita cominciò a cambiare: non era più una semplice clausura, ma qualcosa di più complesso, perché Mariam aveva aggiunto alle punizioni “semplici” anche altre molto più complesse, che essa stessa elargiva, sotto forma di autentiche torture. E ben presto la gente dei dintorni cominciò a mormorare che qualcosa di davvero strano stava avvenendo tra le mura di quel convento: erano infatti sempre più frequenti le giornate in cui il silenzio della quiete greca veniva rotto da urla laceranti e pianti disperati, e tutto questo proveniva dal convento. Inoltre la vita delle “ospiti” del convento veniva totalmente rivoluzionata da Mariam, che metteva in totale isolamento le donne che vivevano lì: non solo venivano tagliati i ponti col passato, e non avveniva più alcun contatto con i parenti, ma le donne venivano spesso rinchiuse in celle senza accettabili condizioni igieniche e venivano sottoposte a estenuanti sessioni di fustigazione e tortura, in espiazione dei loro peccati, e venivano private anche del cibo.
Il culmine arrivò quando una donna di Tebe convinse le sue quattro figlie a seguirla nel convento retto da Mariam. Le figlie morirono dopo poco dal loro arrivo al convento, mentre la madre, che evidentemente era più forte, morì dopo alcuni mesi. Ma prima che la donna morisse, le sue urla vennero udite da alcuni contadini che si trovavano a passare vicino alle mura del convento di Keratea, e che si accorsero della presenza della donna, incatenata a un muro, coperta di sangue ed escrementi e con evidenti segni di frustate su tutto il corpo. I due ovviamente denunciarono il fatto alle autorità e nel febbraio 1950 Mariam Soulakiotis venne arrestata. Sul suo capo pendevano 23 capi d’accusa, tra cui circonvenzione d’incapace, frode, appropriazione indebita, rapimento, tortura, aggressione e omicidio.
Il processo ebbe inizio nel settembre dell’anno successivo, ma dal momento che non furono trovate prove concrete di omicidio (nessun cadavere venne ritrovato tra le mura di Keratea, e quelli sepolti presso il cimitero locale vennero giustificati come morti accidentali), Mariam riuscì ad evitare la condanna più seria.
Tuttavia dai registri del monastero risultarono alcuni particolari interessanti: figuravano infatti i nomi delle appropriazioni, di denaro e terriere, che Mariam Soulakiotis aveva effettuato nei confronti di circa 500 persone, che avevano aderito, più o meno volontariamente, alla sua setta. 500 persone, delle quali al momento dell’indagine non si sapeva più nulla. Scomparse nel nulla. E questo bastò al procuratore Andreas Papakaris per condannare Mariam a 16 anni di carcere.
Ma evidentemente non era ancora sufficiente. Successivamente infatti venne aperto un processo anche contro otto suore e un vescovo che avevano aiutato Mariam Soulakiotis nella gestione del suo impero di terrore, e grazie alle testimonianze dei nove fu finalmente possibile collegare le morti delle “ospiti” del convento di Keratea all’attività di Mariam Soulakiotis. Tutte quelle persone, fu stabilito, erano morte per inedia e perchè non erano state somministrate loro appropriate cure mediche quando si erano trovate in stato di grave deperimento.
Mariam Soulakiotis finì dunque in carcere, accusata di aver causato, anche se indirettamente, la morte di centinaia di persone: vittime perite a causa degli stenti, delle torture, dei trattamenti disumani cui Mariam Soulakiotis li aveva sottoposti per espiare le loro colpe. Solo diversi anni più tardi la fine di questa terribile vicenda, nei dintorni del convento di Keratea vennero scoperte delle fosse comuni che contenevano i corpi, per lo più di donne, appartenenti evidentemente alle seguaci del culto di Mariam Soulakiotis. Il loro numero è impressionante: 177.
E, se giustizia fosse stata fatta, anche Mariam Soulakiotis avrebbe dovuto espiare le sue colpe. Invece la morte la colse, nel 1954, quando aveva appena compiuto 71 anni. La giustizia terrena non poté nulla, dunque… ma si spera che quella divina abbia portato a termine la condanna per Mariam Soulakiotis.