Los Angeles, USA. Siamo lungo la Main Street, all’altezza di un enorme edificio, lo Stay on Main, un hotel da 700 stanze in 14 piani che era stato edificato nel 1927 ed era il punto di riferimento, per i suoi bassi prezzi, per i tanti professionisti che per un motivo o per l’altro si fermavano a Hollywood. Negli anni ’50 il gigantesco albergo venne ristrutturato, per diventare un residence, e cambiò il nome in The premier choice of affordable Downtown Los Angeles hotels (la scelta migliore tra gli hotel a basso costo della Downtown di Los Angeles). Eppure, criminologi e cultori del macabro lo conoscono con un solo nome: Cecil Hotel.
Il Cecil Hotel potrebbe benissimo gareggiare con lo Stanley Hotel, o con il Coronado, ma anche con il Langham Hotel, al quale potrebbe perfino portar via la palma di albergo più infestato al mondo, ma per il momento ha il triste primato di hotel in cui si sono verificate più morti in assoluto.
Cecil Hotel, albergo maledetto
Nel gennaio 1947 Elizabeth Ann Short alloggiò al Cecil Hotel.
Il suo ambiente preferito? Il bar, dove spesso sedeva in compagnia di uomini sempre diversi, che erano attratti soprattutto dal suo fisico prorompente e mozzafiato.
Il 15 gennaio Elizabeth viene ritrovata nel South Avenue, tra Coliseum Street e la West 39th Street, letteralmente fatto a pezzi, tagliato in due parti all’altezza dell’ombelico.
Elizabeth è passata alla storia come Black Dahlia, la Dalia Nera. Uno dei casi più eclatanti di omicidio, famoso per la brutalità e la ferocia, che resta ancora senza colpevole.
Passano pochi anni. Il 22 ottobre 1954 una donna, Margaret Brown, viene ritrovata morta dopo essere caduta dalla finestra della sua stanza, al settimo piano del Cecil Hotel. La polizia scoprirà che la donna, arrivata all’hotel appena una settimana prima, in realtà aveva fornito generalità false: il suo vero nome infatti era Helen Gurnee, ma non si scoprì mai nè il motivo per cui aveva fornito false generalità, né perché decise di suicidarsi.
L’11 febbraio 1962 stessa sorte è riservata a Julia Moore, che alloggia all’ottavo piano e un bel giorno decide di aprire la finestra della sua stanza e gettarsi nel vuoto. Muore sul colpo, dopo aver frantumato un lucernario del secondo piano, senza aver lasciato nessun biglietto d’addio in cui spiega il suo gesto estremo… gli inquirenti trovano nelle sue tasche una ricevuta dell’autobus timbrata a St. Louis, 59 centesimi e un libretto di risparmio della Illinois National Bank, in cui Julia ha depositato tutti i suoi risparmi: $ 1.800. Ma anche in questo caso, le cause dei suicidio non vennero mai appurate.
Stesso anno, 8 mesi più tardi. Il 12 ottobre 1962 Pauline Otton, 27 anni, ha appena litigato col marito, Dewey. In preda a un raptus, si getta dal nono piano. Per una tragica ironia della sorte, Pauline travolge nella caduta George Gianinni, che si trovava a passeggiare sotto il Cecil Hotel. Muoiono entrambi sul colpo.
Il 4 giugno 1964 viene ritrovata morta nella propria stanza Goldie Osgood, detta Pigeon Lady (la signora dei piccioni), ex operatrice telefonica ormai in pensione, conosciuta e benvoluta da tutti, con l’abitudine di portar spesso da mangiare ai piccioni di Pershing Square (da qui il soprannome). L’autopsia rivela una serie di particolari agghiaccianti: Goldie è stata violentata, accoltellata e quindi strangolata, e la sua stanza d’albergo appare sottosopra, come se il suo assassino cercasse qualcosa di valore. Poche ore dopo, gli agenti fermano in Pershing Square un uomo, Jacques B. Ehlinger, che desta fortissimi sopsteti per un particolare non di poco conto: i vestiti dell’individuo sono zuppi di sangue. Potrebbe dunque essere lui il killer di Goldie, ma non ci sono prove per incriminarlo e ovviamnete i sospetti da soli non bastano, e viene rilasciato. L’assassino di Goldie rimane tuttora senza un nome.
Da lì in avanti, il Cecil Hotel vive un momento di calma piatta. Molte persone si susseguono tra le sue stanze, molte anime lo vivono… ma fortunatamente non accade nulla di eclatante, fino al 1984, quando l’albergo ospita all’ultimo piano Ricardo “Richard” Munoz Ramirez, detto Night Stalker (il cacciatore della notte). Ricardo occupa una stanza al quattordicesimo piano dell’hotel, che gli costa appena $ 14 a notte…e in questa stanza, per un mese e mezzo, mutila, stupra e tortura 14 vittime. La cosa più curiosa (ma sarebbe meglio dire agghiacciante!) è che Ramirez riesce a sbarazzarsi con grande facilità di tutte le prove che possono incriminarlo, gettandoli nei cassonetti di rifiuti dello stesso Cecil Hotel. Nessuna prova poteva incriminarlo, visto che l’uomo era stato ben attento a nascondere ogni traccia che potesse portare a lui, ma la troppa sicurezza fu la sua fine, e infatti Ramirez compì il passo falso il 24 agosto 1985. L’uomo uccise Bill Carns, 29 anni, e violentò la sua fidanzata, Inez Erickson, 27. Ramirez legò la donna e se ne andò, ma Inez riuscì a scorgere il veicolo a bordo del quale Ramirez si era allontananto: una Toyota station wagon di colore arancio. Fornì poi una descrizione molto dettagliata del criminale alla polizia, e quando un teenager, che aveva sentito alla radio la descrizione dell’auto di Ramirez, la vide sfrecciare davanti ai suoi occhi, prontamente segnò la targa del veicolo e la comunicò alla polizia. La Toyota venne rinvenuta il 28 agosto, e la polizia trovò al suo interno le impronte digitali dell’assassino, che corrispondevano a un uomo già schedato dalla polizia: Richard Muñoz Ramirez, appunto, venticinquenne ispanico con una lunga serie di precedenti per stupro e spaccio di droga. Viene arrestato il 31 agosto 1985 e condannato a morte nella camera a gas, ma morì in prigione, nel 2006, prima che la condanna venga eseguita.
Un altro serial killer scelse il Cecil Hotel come base d’appoggio. Johann “Jack” Unterweger, noto come Jack lo scrittore. Prende in affitto una stanza per cinque settimane, e in queste cinque settimane stupra e poi strangola tre prostitute. Le strangola a morte con il loro reggiseno, un modus operandi già visto, altrove… difatti le indagini portano a scoprire che Johann è autore di altri 11 omicidi, compiuti tra l’Austria e gli USA sempre a danno di prostitute, che vengono violentate e uccise, strangolate col reggiseno. Viene arrestato nel 1992 e condannato all’ergastolo, ma Johann sceglie di morire il giorno stesso della sentenza, nel 1994, strangolandosi con un elastico. E la legge austriaca, per un curioso scherzo del destino, giudicherà Johann innocente, in quanto morto prima del processo d’appello.
La morte di Elisa Lam.
La sera del 26 gennaio 2013, alla reception del Cecil Hotel si presentò una ragazza, che chiese una stanza per cinque giorni. Una sosta a Los Angeles era quello che le serviva, prima di intraprendere il suo viaggio alla volta di Santa Cruz. Il mattino del giorno previsto per la partenza, 31 gennaio, Elisa Lam, così si chiamava l’ospite solitaria, non si presentò a fare il check-out. Il pomeriggio, dopo aver aspettato che lìospite si presentasse, gli inservienti dell’hotel entrarono nella sua stanza, meravigliandosi di trovarl aimmacolata, come se nessuno vi avesse trascorso la notte. Forse Elisa se n’era andata, senza aver sladato prima il conto? No,le valigie e tutti gli effetti personali della ragazza erano ancora nell stanza. Che fine aveva fatto allora Elisa Lam?
Il 13 febbraio la sorella Sarah, fotografa e make-up artist affermata, pubblica un messaggio online nel sito http://www.modelmayhem.com, spiegando che la sorella è scomparsa, e chiede a chiunque si trovi a Los Angeles se l’ha vista.
Purtroppo nessuno saprà darle indicazioni, e i messaggi che seguiranno saranno solo di condoglianze.Nessuno sembra aver visto Elisa Lam, nei giorni in cui soggiornò al Cecil Hotel. L’unico indizio era stato fornito dalla signora Kathie Orphan, che gestiva una piccola llibreria nelle vicinanze dell’enorme albergo, e aveva visto Elisa nel suo negozio, qualche giorno prima la sua scomparsa, mentre faceva degli acquisti per i suoi familiari. Ma era la sola persona ad aver visto Elisa, e certo la sua testimonianza non serviva a far luce sugli avvenimenti dei giorni (presunti) della scomparsa.
L’autopsia stabilì che Elisa non aveva subito alcuna violenza sessuale e che era morta annegata. Probabilmente suicidata. Ma qualcosa non quadrava in quella ricostruzione: non era possibile che Elisa Lam si fosse recata, da sola, sul tetto dell’hotel (zona riservata al solo personale dell’albergo), che era accessibile solo con chiavi di cui era dotato il personale. In secondo luogo, Elisa non avrebbe potuto arrampicarsi da sola in cima al serbatoio e lasciarsi cader dentro, visto che non c’erano scale nelle vicinanze e la parete del serbatoio era priva di appigli e punti di appoggio. In terzo luogo, il coperchio del serbatoio era troppo pesante per una persona mingherina come lei, che mai avrebbe potuto alzarlo e buttarsi nella cistarna, tenendo sollevato il coperchio.
Uno degli aspetti più inquietanti del caso Elisa Lam è questa bizzarra coincidenza –
https://www.youtube.com/watch?v=pt8lhNNk9So
infatti, è quello che spiego nel post seguente