La maggior parte dei turisti che arrivano a Venezia scelgono Piazza san Marco come punto centrale della loro visita.
Da lì infatti si può ammirare la zona più nota della città: la Basilica, il campanile, il museo Correr, la Torre dell’Orologio e la magnifica visuale che si apre sulla laguna.
Però gran pochi conoscono i simboli di morte che si trovano in quella piazza.
Non parlo del mosaico della Madonna del mare, con le sue due luci sempre accese a ricordare il povero “fornareto” Pietro Tasca, ingiustamente accusato di omicidio. Avevo raccontato la sua storia in questo post, nel quale avevo citato due elementi, sui quali voglio tornare oggi. Cito quanto scrissi allora:
Una leggenda narra che un tempo ai condannati a morte fosse concessa, come ultima possibilità di scampo, di tentare il giro della colonna.
Osservando il colonnato di Palazzo Ducale, si nota che una delle colonne è leggermente più grande delle altre. Si tratta della terza colonna sul lato che si affaccia sulla laguna, partendo dall’angolo del colonnato.
Il tentativo consisteva nel girare intorno alla colonna, dalla parte esterna, senza scivolare, con la mani legate dietro la schiena e con la faccia rivolta alla colonna, ma quasi nessuno riusciva a completare l’operazione e cadeva direttamente in mare.
Anticamente infatti Palazzo Ducale dava direttamente sulla laguna, non esisteva il molo che si vede adesso.
Un altro brano dal mio vecchio post:
il condannato fu portato tra le due colonne di Marco e Todaro in piazza San Marco, dove normalmente veniva allestito il patibolo per le esecuzioni capitali, e dopo il segnale dato come d’abitudine dal doge Loredan, la sua testa fu staccata dalla mannaia del boia.
Ecco, scegliere di allestire qui il patibolo era una mossa veramente astuta, e crudele.
Le esecuzioni avvenivano infatti con i condannati che davano le spalle alla laguna di Venezia, guardando la dirimpettaia Torre dell’orologio, e quindi l’ultima cosa che vedevano era proprio l’ora della loro morte, segnata dall’Orologio con i Mori.
Ma c’è di più: la facciata del Palazzo Ducale che è rivolta verso la piazza fu costruita nel 1424 per volontà di Francesco Foscari.
Un elemento molto particolare è che, nel loggiato al primo piano, noto anche come Loggia Foscara dal nome dei dogi, ci sono due colonne, realizzate in marmo rosso di Verona, che spiccano e si differenziano dalle altre proprio per il loro colore più scuro: tra queste due colonne si leggevano le sentenze di morte, che sarebbero state poi eseguite tra le colonne di San Marco e San Teodoro in Piazza San Marco, e la tradizione popolare vuole che le colonne siano rosse proprio per il sangue dei tanti condannati a morte, le cui sentenze di morte sarebbero state lette proprio qui.
Ma anche le due colonne maggiori in Piazza san Marco hanno la loro storia. Nel 1125 il Doge Vitale Michiel trasportò da Costantinopoli a Venezia tre colonne: una con San Marco, una con San Teodoro, che sono visibili ancora oggi, e una che doveva avere sulla sommità un coccodrillo, o forse una chimera. Ma dove si trova?
Nel momento di sbarcare le tre colonne, con le prime due tutto andò liscio, ma la terza cadde in mare e sprofondò, ed è ancora lì, da ottocento anni, in fondo al mare di Venezia. Vani furono i tentativi di recuperarla, anche perchè non si seppe mai con esattezza il punto esatto in cui la colonna sprofondò.
C’è infatti chi parla del punto tra le due esistenti, chi più a destra, chi a sinistra, chi addirittura dice che mai si troverà una terza colonna perchè in realtà non sarebbe mai esistita.
Però su quella colonna circolano strane leggende: si racconta infatti che sulla sua sommità ci fosse effettivamente un coccodrillo, e che cadendo in mare prese vita, diventando una sorta di “mostro della laguna”…la gente di Venezia sostiene che ogni tanto il mostro faccia la sua ricomparsa, e nel momento in cui riappare, una giovane donna veneziana scompare e viene in seguito ritrovata morta. Forse è quanto accadde anche per la sfortunata Linda Cimetta, ci cui ho parlato qui.
Torniamo però alle nostre colonne: se la terza s’inabissò, le altre due non godettero di molta più fortuna, rimanendo infatti per più di cento anni distese sulla riva senza che nessuno fosse in grado di sollevarle.
Alla fine ci riuscì nel 1196 l’ingegnere bergamasco Nicolò Stratonio, detto Barettieri, famoso per la prima costruzione del Ponte di Rialto in legno: Egli, «bagnando le funi con continui spargimento d’acqua, alle quali era legato il peso» riuscì a sollevare le due colonne: le corde di canapa, infatti, da bagnate tendono ad aumentare di diametro e diminuire di lunghezza, e il Barattieri riuscì, usando corde sempre più corte, a rizzare le due colonne, alla cui sommità si collocarono poi la statua di San Teodoro e il simbolo di San Marco.
Come compenso, a Nicolò Stratonio venne concesso di gestire un Banco per il gioco dei dadi in città, cosa allora severamente proibita, ma soltanto nello spazio compreso fra le due colonne, dove si eseguivano le esecuzioni capitali, come abbiamo visto… e ovviamente i veneziani sfuggivano quel luogo per motivi scaramantici.
Mi sembra che tu sia tornata alla grande sul blog.
L’augurio che ti faccio è che sia un ritorno definitivo.
grazie zio Nick, non so ancora se sarà definitivo, lo spero 🙂