Chi si trovasse a passare per Venezia, nella zona del Campo Santi Giovanni e Paolo, la notte del 21 marzo, e udisse un nitrito rabbioso, non si spaventi né si interroghi se le proprie facoltà mentali sono ancora a posto.
Non si chieda se a Venezia circolano i cavalli, saprebbe benissimo che non è così, e soprattutto non guardi la statua che troneggia di lì a due passi come se avesse visto un fantasma.
È esattamente da quel cavallo, da quella possente mole di bronzo, che un nitrito rabbioso riecheggia, puntuale ogni 21 marzo a mezzanotte in punto.
Qualche scettico potrebbe ipotizzare che si tratti di un effetto del vento che penetra in qualche pertugio della statua e la fa “cantare”, ma la storia e il mistero in questo caso coincidono, dando vita a una leggenda misteriosa, affascinante e tragica al tempo stesso, sebbene non ci siano fantasmi, spettri o demoni pronti a saltar fuori dall’oscurità e ghermirvi nella nebbia.
Quel che è certo è che dietro la realizzazione di quella magnifica scultura c’è la storia di una maledizione che ha colpito due degli scultori che lavorarono all’opera, realizzata a Venezia alla fine del XVI secolo e attribuita ad Andrea Verrocchio. Fu proprio lui ad aver avviato i lavori di realizzazione della statua dedicata al condottiero Bartolomeo Colleoni. Dopo averla accuratamente modellata, fu colpito da un malanno misterioso: febbre alta, forze in rapida diminuzione… ipotizzando di non riuscire a completare la statua, e sentendo infatti giungere la morte, fece testamento, e in quel testamento stabilì che a ultimare la statua dovesse essere il suo più fedele allievo, Lorenzo di Credi….che probabilmete, oltre a essere il suo pupillo, era anche il suo amante.
Alla morte del Verrocchio, il Senato della Serenissima Repubblica di Venezia discusse lungamente se fosse il caso di rispettare le volontà testamentarie del verrocchio e affidare al giovane, e inesperto Lorenzo di Credi la fine dei lavori. Tante erano le domande che arrovellavano i Senatori: se avesse sbagliato a realizzare la statua? Se l’avesse resa così brutta da essere inguardabile? Se gli fosse sfuggito di mano uno strumento e l’avesse rovinata? Non si poteva rischiare, e così il Senato affidò ad Alessandro Leopardi, uno scultore già molto noto a Venezia l’onere di terminare la scultura equina.
Leopardi aveva già avuto modo di dimostrare la sua abilità: era stato infatti l’artefice delle basi dei tre pennoni di piazza San Marco.
Ma a Leopardi l’idea di terminare la statua non andava molto a genio…quel calco incompiuto; la morte misteriosa del suo primo creatore; il testamento non rispettato… insomma, non era molto sereno a dover rimettersi a lavorare su una statua plasmata da un altro. Inoltre, Verrocchio aveva già distrutto una volta il calco del destriero, quando pareva che l’opera avrebbe potuto essere affidata al collega-rivale Bellano da Padova.
Sembrava quasi che Verrocchio vedesse nel cavallo di bronzo una propaggine di se stesso, e che la statua di Bartolomeo Colleoni rappresentasse addirittura, nelle fattezze, il Verrocchio stesso. Insomma, in quella statua Verrocchio aveva riversato tutti i sentimenti che poteva, odio, amore, paura, ansia, coraggio, facendo di quella statua la sua effige imperitura. No, decisamente Leopardi non vedeva bene quell’opera, tanto più che, quando si accingeva a scolpire il cavallo, gli sembrava quasi che l’occhio dell’animale lo guardasse con aria di rimprovero, e altrettanto sembrava fare il condottiero che montava l’animale.
In un’occasione, Leopardi confidò a un amico che aveva quasi timore di scolpire il volto di Bartolomeo Colleoni, perché nel profondo dei suoi occhi gli sembrava di scorgere un lampo d’ira, e molte volte gli sembrava che il volto della statua si trasfigurasse, assumendo le fattezze del vecchio Verrocchio. Mano a mano che il lavoro procedeva, il cavallo acquisiva sempre più bellezza e vigore, mentre le forze di Leopardi andavano scemando. Sembrava che il cavallo stesse assorbendo tutta la sua energia, come un parassita. Invano Leopardi chiese di interrompere la realizzazione della statua: doveva essere finita, disse il Senato.
Mano a mano che l’opera si avvicinava alla sua conclusione, le condizioni di salute di Leopardi peggioravano, e il poveretto finì per ammalarsi di broncopolmonite, morendo poco dopo l’inaugurazione della statua, il 21 marzo 1496.
Da allora il cavallo e il suo cavaliere troneggiano, maestosi, nel loro basamento in Campo dei Santi Giovanni e Paolo.
Chi conosce questa leggenda, ed è un pochino più suggestionabile, giura che il volto del cavaliere assomigli in modo impressionante a quello del Verrocchio… e per di più la maledizione della statua, a ogni equinozio di primavera, si rinnova… Un lacerante, misterioso nitrito che riecheggia per calli e campielli.
Non conoscevo questa leggenda, quante cose belle scopro da te (e su di te) :*
@Sekhemty: grazie, bel bllog pure il tuo, e grazie x il follow!
Bell’articolo, e bel blog.
grazie! sono luoghi affascinanti, e mi piace scovare storie interessanti su di essi
Brava. E’ bello vedere queste descrizioni così accurate diposti che io amo.